Il teatro della morte
La morte in piazza
“Niccolò di Guglielmo francese, prete, e Pietro di Giovanni di Normandia. Niccolò fu primo degradato, e poi ambedue posti sopra d’una carretta e attanagliati per Roma e giunti in Campo di Fiore fu Pietro squartato vivo, ed attaccati li quarti alla carretta fu condotto l’altro sul Campidoglio, ed anche esso squartato vivo”
La pena di morte è una pratica inflitta fin dai tempi più remoti dell’umanità. Nei tempi antichi, ma purtroppo tuttora in uso in alcune parti del mondo, essa svolgeva una duplice funzione. Da un lato infatti era necessaria a punire il misfatto compiuto in modo da ripristinare l’ordine sociale sovvertito; dall’altra era vista come un male necessario soprattutto nella sua spettacolarizzazione dai caratteri spesse volte accentuati.
Nella Roma del tempo, dominata da un alto tasso di corruzione e criminalità, la pena di morte veniva interpretata quale male di utile dominio. Aveva il compito di agire quale messaggio intimidatorio nei confronti di chi fosse intenzionato a compiere crimini.
Nel Repertorio dei giustiziati, inserito all’interno della Rubricella dei libri e giornali del provveditore custodita nell’archivio storico dell’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato, sono registrati i nomi dei rei, il reato e il tipo di condanna inflitta.
Effettuando una breve statistica dal 1499 le condanne seguivano prevalentemente due tipologie di pena: il rogo, per gli eretici e si eseguiva a Campo dei Fiori o Piazza Navona; per i reati più in generale veniva invece inflitta l’impiccagione che cambiò più volte sede: a Tor di Nona, Corte Savello, Ponte San Angelo, Campidoglio, Porta Latina, Piazza Giudea (raro dal 1524), Monte Tarpeo (raro dal 1540), Piazza Navona (raro dal 1556), Piazza San Lorenzo in Lucina, Piazza del Popolo (Transpontina raro, Campo Vaccino).
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